Il Governo italiano con la legge n.92 del 30 marzo 2004, ha dichiarato il 10 Febbraio “Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano – dalmata e delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”. Per rendere omaggio e ricordare anche noi questa giornata, riportiamo una parte del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Mattarella, tenuto in occasione dello scorso 10 febbraio 2023: “( …)Siamo oggi qui, al Quirinale, per rendere onore a quelle vittime e, con loro, a tutte le vittime innocenti dei conflitti etnici e ideologici. Per restituire dignità e rispetto alle sofferenze di tanti nostri concittadini. Sofferenze acuite dall’indifferenza avvertita da molti dei trecentocinquantamila italiani dell’esodo, in fuga dalle loro case, che non sempre trovarono rispetto e solidarietà in maniera adeguata nella madrepatria (…) Grazie al coraggio, all’azione instancabile e a volte faticosa delle associazioni degli esuli istriani, dalmati e della Venezia Giulia, il tema delle foibe e dell’esodo è oggi largamente conosciuto dalla pubblica opinione, è studiato nelle scuole, dibattuto sui giornali. Le sofferenze subite dai nostri esuli, dalle popolazioni di confine, non sono, non possono essere motivo di divisione nella nostra comunità nazionale. Al contrario, richiamo di unità nel ricordo, nella solidarietà, nel sostegno.(…) La storia ci ha insegnato che la differenza è ricchezza, non una malapianta da estirpare. Che i muri e i reticolati generano diffidenza, paura, conflitti.(…) Alle vittime di quelle sopraffazioni, ai profughi, ai loro familiari, rivolgiamo oggi un ricordo commosso e partecipe. Le loro sofferenze non dovranno, non potranno essere mai sottovalutate o accantonate.
Il contesto storico-articolo di Riccardo Pieroni
Cavità naturali profonde usate come trappole mortali senza via d’uscita. Persone che venivano gettate vive o morte in gole profonde. Tra il 1943 e il 1947 si calcola che almeno diecimila italiani vennero inghiottiti nelle foibe, cavità tipiche della regione del Carso, altopiano roccioso che si estende tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Croazia. Il terribile eccidio venne compiuto dai partigiani del maresciallo Tito. Il comandante iugoslavo filosovietico voleva eliminare la presenza italiana in Istria e Dalmazia. Le ragioni di questa efferata violenza sono da ricercare nel fatto che i partigiani jugoslavi volevano vendicarsi del fascismo. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino all’armistizio dell’8 settembre 1943 il governo di Roma aveva amministrato duramente le zone dell’Istria e della Dalmazia, abitate non soltanto da italiani, ma anche da popolazioni slovene e croate. Queste popolazioni furono oggetto di un’italianizzazione forzata da parte dei fascisti e di una serie di deportazioni nei lager nazisti. Da qui il desiderio di vendetta da parte di Tito, salito al potere nel 1945. Una vendetta che colpì indistintamente tutti gli italiani, senza alcuna differenza tra fascisti e antifascisti. Il maresciallo jugoslavo occupò Trieste con il suo esercito (1 maggio 1945). Nel giro di due mesi gli italiani che vivevano in Istria, in Dalmazia e nella città di Fiume furono costretti ad abbandonare tutto e a fuggire. Chi non lo fece venne ucciso dall’esercito di Tito e gettato nelle foibe o deportato nei campi di concentramento in Slovenia e in Croazia. Perché il 10 febbraio: il 10 febbraio 1947 veniva firmato un trattato di pace – il trattato di Parigi – con cui venivano assegnate alla Jugoslavia città e terre italiane. Escludendo il “territorio libero di Trieste”, suddiviso in una zona A affidata al governo alleato e in una zona B gestita dalla Jugoslavia, le città costiere dell’Istria – è il caso di Fiume – finirono nelle mani del maresciallo Tito.Il trattato provocò esodi di massa della popolazione italiana. La città istriana di Pola, abitata perlopiù da italiani, si svuotò in pochi mesi: 28mila persone su 30 mila se ne andarono. In trent’anni – fino alla firma del trattato di Osimo (1975) – si stima che trecentomila italiani emigrarono.