CURIOSITA’: LA FESTA DELLA LIBERAZIONE A SAN ROMANO E’ ANTICIPATA AL 21 APRILE!

Tratto dal libro “La liberazione in Toscana”

“Gli alleati ripresero l’avanzata lungo la valle del Serchio; il 20 aprile 1945 erano a Castelnuovo di Garfagnana, ormai ridotto ad un cumulo di macerie, il giorno successivo arrivarono nel Comune di San Romano. Nei paesi del Comune ormai liberati dall’incubo della guerra furono ripristinate le funi delle campane, che nuovamente suonate a distesa annunciarono all’intera vallata il momento tanto atteso, e nelle chiese fu cantato il solenne Te Deum di ringraziamento. Il governo del Comune, su designazione del Comitato di Liberazione Nazionale, fu assunto da Eugenio Mattei. Egli fu anche il primo sindaco eletto democraticamente e si adoperò per garantire l’efficienza dei servizi e la ripresa degli interessi della cittadina dopo le prepotenze, le angherie e le ingiustizie inferte dall’occupazione tedesca.”

In foto il viadotto ferroviario della Villetta distrutto dai bombardamenti aerei.

LA FRANA DI CAPRIGNANA

Nel settembre del 1920 un forte terremoto colpì l’area dell’alta Garfagnana e della Lunigiana, con gravissimi danni e centinaia di morti.

Nel novembre 1920, ovvero circa due mesi dopo il sisma, quello che era rimasto del paese di Caprignana fu ulteriormente danneggiato da una grossa frana, scatenata dal forte terremoto, il cui piede arrivò a deviare il corso del F. Serchio verso Ovest.

Gli effetti della frana portarono all’abbandono dell’abitato ed alla costruzione di Caprignana Nuova.

Gli articoli che vengono presentati, riguardano la storia della Frana di Caprignana, analizzata sotto il profilo geologico, sulla base di documenti d’epoca del Genio Civile, confrontati con foto aeree, con rilievi effettuati circa trenta anni fa ed aggiornati ad oggi.

La frana di Caprignana è confrontata con altri casi di frane indotte da terremoti, per ottenere indicazioni utili sulle ulteriori evoluzioni, anche in caso di altri terremoti e per individuare come ridurre il rischio ancora presente.

Per questo, il Comune di San Romano in Garfagnana, con un finanziamento della Regione Toscana, sta predisponendo interventi di ripristino di opere idrauliche realizzate negli anni ’70-’80, danneggiate dalle varie riprese di movimento del dissesto, tutt’ora in atto.

Per scaricare il primo contributo clicca QUI

Le ricerche sono ancora in corso, stiamo aspettando altri contributi che pubblicheremo in seguito.

7 settembre 1920- 7 settembre 2020: 100 anni dal terremoto della Garfagnana e della Lunigiana

“Questure, carabinieri, giornali, uffici di colpo nel marasma. Dove? Settanta – ottanta chilometri da Livorno. Niente a La Spezia. Meraviglia a Lucca. Forse a Massa Carrara? Niente. Le comunicazioni con la Garfagnana sono interrotte. Ed anche con la Lunigiana. É il massiccio Apuano che ha tremato, s’è dato una leggera scrollatina, appena un brivido, e si è rimesso in silenzio a cosa fatta”.

Nel 1970 lo scrittore e giornalista garfagnino Gian Mirolà ricordava con queste parole il terremoto che, esattamente cento anni fa, colpì duramente il nostro territorio. La mattina del 7 settembre 1920 una scossa sismica di magnitudo 6.48 – che era stata preceduta il giorno prima da scosse di minore intensità – interessò un’area di circa 160 km², che comprendeva Lunigiana e Garfagnana. La zona non registrava eventi simili da almeno 80 anni. Era il 1837: una scossa sismica di magnitudo 5.6 colpì il versante nord orientale delle Alpi Apuane. Ingenti danni si verificarono nei territori di Fivizzano e Minucciano.

Il terremoto del 7 settembre 1920, con un’intensità registrata all’epicentro del IX – X grado della Scala Mercalli, provocò gravi danni in numerosi centri abitati, come Castiglione, Fivizzano, Pieve Fosciana, Vigneta e Villa Collemandina. Le vittime furono 171, i feriti 650. Migliaia di persone rimasero senza casa.

Il sisma fu avvertito anche in altre regioni, come Emilia Romagna e Liguria. Nella provincia di Modena ci furono tre vittime e alcuni feriti; alcune case crollarono, altre vennero danneggiate, soprattutto nei comuni di Frassinoro e Pievepelago.

Il terremoto avvenne in un momento della giornata nella quale gran parte degli abitanti stava lavorando. Infatti l’economia locale si basava principalmente su tre attività: agricoltura, allevamento ed estrazione dei marmi. Poche persone si trovavano quindi in casa. In gran parte erano donne e bambini, tra le principali vittime del sisma. Inoltre molte persone, allarmate dalle scosse del 6 settembre, avevano dormito all’aperto la notte che precedette la violenta scossa.

Il terremoto provocò un numero relativamente basso di vittime in proporzione ai crolli e ai danni che distrussero interi paesi garfagnini. Il disastro fu amplificato dalle tecniche di costruzione degli edifici. Le case erano perlopiù costruite con materiali particolarmente scadenti, come grossi ciottoli di fiume arrotondati utilizzati come pietra da costruzione al posto dei mattoni.

I giornalisti furono tra i primi a recarsi sui luoghi colpiti e a descrivere la gravità dell’accaduto. “A mano a mano che ci inoltriamo nella regione colpita, tutto conferma, purtroppo, la fondatezza delle prime notizie. I paesi che sono successivamente attraversati dalla nostra macchina, mostrano sempre più gravi gli effetti della formidabile scossa, che ha scrollato tutto il sistema montuoso che corona le valli del Serchio e dei suoi affluenti”, scrivevano i cronisti de “La Nazione”.

I soccorsi furono segnati da ritardi e difficoltà di organizzazione, in parte spiegabili con l’interruzione delle comunicazioni telegrafiche. Risultava impossibile avere notizie certe, in particolare dai centri più piccoli.

L’entità dei danni non fu immediatamente chiara alle autorità: i primi telegrammi, inviati la mattina del 7 settembre dai Prefetti dell’area colpita alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sottolineavano la violenza della scossa ma non disegnavano con precisione la gravità del danno. Soltanto nella tarda mattinata da Massa il Prefetto comunicava i primi dati sulle conseguenze del terremoto. Mentre le notizie che giungevano da Lucca – e riferite al capoluogo – inizialmente segnalavano solo lievi e rare lesioni di edifici.

Il terremoto del 7 settembre 1920  avvenne in un momento storico difficile per l’Italia. uscita da poco dalla Prima Guerra Mondiale. Il conflitto bellico aveva condizionato duramente l’economia e la vita politica del paese. In più, le ferite causate da altri terremoti, come quello di Reggio Calabria e Messina del 28 dicembre 1908 (magnitudo 7.1, tra le 90 e le 120 mila vittime) e di quello della Marsica del 13 gennaio 1915 (magnitudo 7, 30 mila vittime) non erano ancora state sanate.

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